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Recensione Ghost - Popestar (2016)
Scritto da Stefano   
Domenica 27 Novembre 2016 10:48

Ghost - Popestar (2016)

I Ghost sono l’unico fenomeno musicale “di mercato” e con “un mercato”. L’assenza di informazioni certe sulla loro identità, e la ricerca collegata, assomigliano un po’ alla sega internazionale sull’identità di Elena Ferrante (la scrittrice). Ebbene sì, inserisco un riferimento alla musica e alla letteratura di consumo (e neanche cose estreme, ma addirittura la Ferrante) nello stesso articolo e sul blog di TheMurderInn.
Viviamo in tempi strani, fidatevi.
C’è un fattore che rende appetibili i Ghost, a parte la zuccherosità della loro musica (uno zucchero che ammicca al Demonio, sia chiaro), ed è proprio il loro status di sconosciuti. Nell’epoca delle informazioni tutto-e-subito, non avere la minima idea chi si celi dietro a quelle maschere, a quella conclamata mancanza di ego dei Nameless Ghouls o al Papa di turno è irritante per la maggior parte degli ascoltatori. Si va su Wikipedia e non si trova neanche un’informazione affidabile.
Che ci sia dietro una congiura?
Quello che è certo è che i Ghost sono uno dei gruppi “nuovi” che ha la potenzialità di riempire sale più grandi del salotto di casa tua e creare hype intorno al metal/rock seventies. Trasversalità e paraculismo in egual misura, condito con una generosa dose di sapienza marketing e di canzoni dalla presa iper-facile.
Perché parlo di trasversalità per i Ghost? Perché i loro dischi non hanno il canone oltranzista del metal (quello che con certe sonorità allontana persone e gnocca – ah, quanto era figa-repellente il metal a suo tempo… ma anche qua i tempi sono cambiati) e neanche la complessità astrusa del rock seventies (condito con il bagaglio di vecchiume che i giovani annusano quando c’è scritto seventies dietro a rock), le canzoni dei Ghost ballano sul filo di tutto questo.
Pescano nel metal e nel rock, nel pop e in altri generi… ed ecco perché parlo di Popestar. Nato come costola del precedente Meliora, adesso esce con vita e virtù proprie.
Un pezzo originale, Square Hammer, che è niente più, niente meno che Ghost al 100% (con tutti i rimandi del caso a gruppi che conoscete) e poi un quartetto di cover dalla provenienza più disparata: dagli Echo And The Bunnymen (e si respirano gli eighties con Nocturnal Me), alle sonorità disco di I Believe (dei Simian Mobile Disco) fino ad arrivare alla doppietta finale composta dagli Eurythmics (Missionary Man) e ai rocker svedesi (Imperiet) con Bible.
Le canzoni vengono riprese e adattate al sound Ghost e questo significa che vengono trattate e risputate fuori con organi, melodie e strutture che rimandano al rock e gli depositano sopra una leggera patina di elegante decadenza.
Popestar è questo e riassume bene l’attitudine della band nei confronti del pubblico e della musica: si prende tutto, si rielabora e si continua a camminare sul filo. Più gente viene contagiata dal sound paraculo, più grande diventerà il seguito.
E come piano satanico ci sta anche bene… In fin dei conti è anche questo il 2016.