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Colony Open Air - 23.07.2017
Scritto da Stefano   
Giovedì 27 Luglio 2017 14:31

Blessed Are The Sikh

Vorrei iniziare dicendo, dopo una ristoratrice notte di sonno… ma non lo faccio. Non ho dormito un cazzo, perciò partiamo con l’idea che, dalle 10 fino dopo le 14 noi, prodi inviati di TMI, non sappiamo che fare. Brescia non è che offra uno degli spettacoli naturalistici migliori in assoluto. Settiamo il navigatore (che non è altro che il mio compare di avventura che dice “prendi la strada a destra” o “prendi quella via” ignorando che via fosse) e ci gustiamo un paesaggio deprimente fatto di case brutte, che si trasformano in caseggiati bruttissimi e, infine, svoltano sull’orrido e qua si fermano.
Una sorta di Storia Infinita in cui ci siamo noi e il Nulla intorno. Peggio delle Polo.
Appurato che non c’è c’è nessuna forma di vita, intelligente o meno, il nostro scopo principale è quello che anima Piero ed Alberto Angela da una vita: scoprire se c’è vita in periferia a Brescia.
Risposta? No. Però incrociamo qualche essere umano che o cerca di farsi stendere come una gazzella in autostrada o vaga, in evidente stato di disagio, in giro per vie deserte.
L’indiano/pachistano che ci salta fuori sulle strisce pedonali, comunque, ci ha benedetto in tutta tranquillità. O maledetto, ma io non capisco bene il dialetto del luogo.
Non trovando niente in pianura, il buon Skan decide che in pianura vita non ce n’è… perciò ecco puntare il dito verso la montagna.
“Voglio arrivare dove si trovano i tetti” – anche perché, abbiamo appurato, gli architetti di Brescia fanno tutto, ma non il tetto. Un po’ come il buon vecchio Diavolo.
Ingannati dalla mancanza di consonanti (maledetti cartelli), ci dirigiamo verso l’agriturismo Valhalla. Il posto degno del metallaro che si rispetti. Arrivati sul posto vediamo che si chiama “Vallalta” ed è per di più chiuso.
Porchi e madonne (mie) e nuove indicazioni stradali (sue). Torniamo giù? No. Sempre su, finché non troviamo un agriturismo (Il Gallo) e fermiamo il surriscaldato destriero.
L’agriturismo è ancora chiuso, ma complice la notevole capacità dialettica del buon Skan (Non le dispiace vero se, mentre aspettiamo, restiamo fuori a cazzegiare?) il posto viene trovato (pota) e ci viene (pota) servito un (pota) pranzo (pota) luculliano (pota).
Per non farci mancare (pota) niente (pota), facciamo macellare suini e cavalli senza pietà. Satana ringrazia. Noi anche, vista la qualità (pota) ottima (pota) del cibo.
De dio. Pota.

Finito di lodare il Grande Capro, torniamo al Pala Brescia per la seconda raffica di concerti della giornata del Colony Open Air.
Ci perdiamo due gruppi (Kaiserreich e Deceptionist) e arriviamo sulle ultime note degli Ulvedharr. Saltiamo anche gli Hideous Divinity (in maniera consapevole stavolta) e finalmente il nostro giorno due al Colony Open Air parte alla grande.

Gli Antropofagus non riescono a trovare un suono decente e quello che esce dalle casse è un miscuglio impastato, ma la potenza della band non si discute e mi mette subito di ottimo umore. Avessero avuto un sound decente, il loro concerto avrebbe aperto una crepa nel pavimento. Le prime canzoni Beheaded subiscono lo stesso fato avverso dei loro compagni di giornata: suoni impastati e risultato poco reattivo. Si sente che c’è qualità, ma è difficile apprezzarla appieno quando non si sente granché il lavoro delle chitarre. Al contrario degli Antropofagus, però, i Beheaded riescono a mettere a posto i livelli di suono ed ecco che ne esce fuori un concerto di ottimo livello. Una doppietta iniziale che detterà, più o meno, il passo la serata.
Ecco il meno. I Carach Angren non li conoscevo, a parte di nome, e quindi mi informo: ma cosa fanno? Risposta: una sorta di black metal sinfonico. Al che appiccico subito le immagini di Dimmu Borgir o Cradle Of Filth alla band. Peccato che avrei dovuto prestare più attenzione al “sorta di” e quando i Carach Angren salgono sul palco, capisco l’entità del mio errore. I Dimmu Borgir hanno una Mourning Palace, i CoF hanno Principle… capite dove sto arrivando? I Carach Angren sono delle macchiette e mischiano pezzi (di canzone) abbastanza convincenti con un mix di frutta mista che proprio ti fa cascare il crocefisso.
Reggiamo poco e andiamo a far scorta di cibo e bevande prima del finale in crescendo.
Gli Absu, premio Versace per l’abbigliamento oltraggiosamente osceno (!), fanno capire al pubblico la differenza fra una band decente e i Carach Angren. Non posso giudicare il suono, ero in prima fila e sentivo alla cazzo di cane, ma l’impatto c’è. Il black/thrash metal del terzetto americano è accolto benissimo e quando da tre diventano quattro, Proscriptor smette di fare il batterista per incominciare il suo ruolo di cantante/intrattenitore/cultista/mago (a tutte le latitudini, cari lettori, la gnocca è il simbolo magico rituale per eccellenza, fidatevi. NdA), il sound perde forse un filo di delirio ritmico ma non un’oncia di assalto sonoro.
Rimaniamo in prima fila anche per i polacchi Mgła e anche qua il giudizio è unicamente di pancia, visto che il suono, pur decente, non era paragonabile a quello sentito da qualche passo indietro, ma siamo metallari e si va a cazzo duro senza futuro. I quattro polacchi non si muovono di un millimetro, non parlano e non fanno trapelare niente (peggio di me quando sono dal commercialista). Il sound dei Mgła è difficile da descrivere, black metal sì, ma con quella componente dilatata che ti fa perdere dentro alla musica. Spesso e volentieri mi sono trovato estraniato, solo per ripiombare sulla balaustra a canzone finita.
Per il terzetto finale, decidiamo di arretrare di qualche fila.
I Belphegor sbaragliano tutti come suoni. Quello che esce dalle casse non è umano, il suono è così preciso e limpido, ma potente, da prenderti a sberle. Helmuth incomincia il rituale che, per tutta la durata del set, è un perfetto mix di bestemmie, porchi, madonne, inculate, penetrazioni e cazzi e mazzi. La perfetta summa del blackned death metal targato Belphegor. Da loro non voglio raffinatezza e neanche qualcosa di più che una sequela insensata di insulti al Dio cristiano.
E loro lo fanno senza problemi.
Seguendo il detto “la bestemmia spinge Dio a far di meglio“, ecco che salgono sul palco i Marduk. Il mio giudizio sugli svedesi è di pancia, visto che è una delle mie band preferite. La formazione con Mortuus alla voce ha, a mio parere, prodotto una serie di ottimi dischi e la preferisco alle altre incarnazioni (prendetemi a pietrate, me ne sbatto il cazzo). Il set dei Marduk è un best of di quasi tutti i dischi, con alcune ovvie presenze fisse (Wolves o Of Hell’s Fire). Non sentivo The Levelling Dust da un po’ ed è stata una piacevole sorpresa (come anche Cloven Hoof). Altri porchi, madonne, bestemmie e via che il set si chiude sull’inno alla violenza insensata: Panzer Division Marduk.
Catarsi completa.
Gli headliner della serata, come detto, sono i Carcass. Ho un problema nel giudicare anche gli inglesi: raggiunto il loro slot, ormai ero Ko a livello fisico (stanchezza, non birra) e ho assistito a parte dello show in stato alterato di consapevolezza. Detto questo, posso affermare che il set, un mix di canzoni vecchie e nuove, ha spaccato. Il suono era molto buono e loro ci hanno dato dentro, senza risparmiarsi, senza troppe interazioni con il pubblico (Jeff Walker si è limitato a prendere per il culo chi ha continuato a chiedere, su Facebook, i Morbid Angel e invece ha ricevuto, in regalo, i Carcass).
Causa ripartenza verso casa, gli ultimi minuti dello show ce li sono persi.

Post Scriptum: il mio personale set di bestemmie, porchi, madonne e associazioni fra animali e divinità l’ho iniziato a 20 minuti da casa. Ma questo, sfortunatamente, è un altro discorso.