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Recensione Agalloch - The Mantle
Scritto da Stefano   
Giovedì 12 Agosto 2010 12:21

Agalloch - The Mantle (The End Records 2002)

 

Agalloch-TheMantle

Signori e Signore, ecco a voi gli Agalloch. Molti, forse pure troppi, potrebbero non sapere di chi sto parlando, ma prestate un momento attenzione a questa piccola recensione e potreste, forse, essere incuriositi da questo disco. "The Mantle" è un disco che, probabilmente, in una webzine di extreme heavy metal non troverete; l'ironia è che"The Mantle" è un disco che dovreste trovare in qualunque webzine perchè racchiude in sè più elementi, più influenze. Il perchè non dovreste trovarlo in una webzine extreme metal è chiaro: il disco, in fondo, è un ottimo esempio di neo-folk, di languidi e brumosi paesaggi autunnali. Non ci sono momenti di luce però in questo cd, non c'è nessun sole della California che fa capolino, anche coperto da qualche nube. Il disco descrive, incarna, l'espressione ultima della desolazione piangente, fredda e silente. Le atmosfere sono ampie e dilatate in modo da raggiungere una espressione musicale quasi eterea. Di una fredda inconsistenza. Gli accordi lunghi, reiterati, solenni (se mi è permesso il termine in questo caso) e, ovviamente, atmosferici, sono quanto di più vicino al doom potrebbe arrivare un genere che, al funereo doom, proprio non si avvicina.
La foschia e la desolazione presenti nel disco, quel vago senso di pace che anticipa la tempesta (o che ne segue una), sono attribuibili a una categoria estrema dell'ambient. Certe atmosfere fredde e compassionevoli forse potrebbero incarnare qualche sensazione black, senza necessariamente ricorrere al blast-beat, allo screaming-sputa-tonsille, al messaggio oltranzista.
Su 9 tracce, ben 4 sono strumentali, le restanti non scendono sotto i 5 minuti di durata. Non aspettatevi l'assolo assassino, la batteria a folle velocità, il testosterone tipico del metallo moderno, in "The Mantle" trovate pace, riposo (eterno?) e solitudine.
Le vocals di Haughm si dividono fra clean (sofferente ma melodico, ben integrato nel paesaggio creato dai musicisti) e un soffuso scream (niente a che vedere con quelli death o black); la voce, in questo disco, è uno strumento, un modo per finire il lavoro iniziato dagli strumenti.
L'unica traccia che si distanzia dalle altre per impostazione (è più dinamica) è sicuramente "I am the wooden doors", introdotta da una doppia cassa e gestita da una elettrica più presente. La propensione per le note triturate o allungate è sempre presente, solo che, in questo specifico caso, la struttura è maggiormente "vivace" e lo screaming più presente (anche se soffuso e posto come sussurro). La cesellatura acustica che fa capolino all'interno della canzone è testimonianza, una volta di più, della estrema bravura del trio. E' totalmente improduttivo cercare di dare una definizione ad ogni canzone, il fluire del sentire degli Agalloch impregna in egual modo tutte le canzoni, donandole un'aura decadente e rilassata.
L'ascoltatore non deve far altro che ascoltare, mettersi comodo, immergersi nel paesaggio creato da "The Mantle" (perchè è questo che crea, un paesaggio) ed estraniarsi da tutto quello che lo circonda. Anche da se stesso, se riesce.

GIUDIZIO:
Un disco particolare, che necessità qualche ascolto. Ma sicuramente un disco di classe, questo sì.

8,5/10

Website: //

Lineup:
Don Anderson - chitarra
John Haughm - voce, chitarra, batteria
Jason William Walton - basso

Tracklist:
1.
A Celebration For The Death Of Man...
2.
In The Shadow Of Our Pale Companion
3.
Odal
4.
I Am The Wooden Doors
5.
The Lodge
6.
You Were But A Ghost In My Arms
7.
The Hawthorne Passage
8.
...And The Great Cold Death Of The Earth
9.
A Desolation Song